I dannati non piangono
Stanca di una vita misera, con un marito che non ha alcuna ambizione, dopo la morte del figlio per un incidente stradale, Ethel Whitehead lascia la casa dove viveva con i suoi e suo marito, colpevole della loro triste condizione sociale. In città cerca lavoro dapprima come commessa e poi notata per un fisico avvenente, diventa indossatrice di moda e insieme accompagnatrice per serate con ricchi clienti. I soldi iniziano ad arrivare ma la donna vuol bruciare le tappe per riprendersi il tempo perduto in ristrettezze e dopo aver conosciuto un giovane contabile del fisco, Martin Blankford, lo introduce in un mondo dove le regole sono dettate dalla malavita organizzata. L'uomo vorrebbe uscirne immediatamente ma la donna lo incita a volere di più in luogo del misero stipendio che riceve dallo stato e per amor suo, egli eccetta di mettersi a gestire la contabilità che fa capo alla famiglia mafiosa di George Castleman. Costui dietro un'apparenza rispettabile gestisce case da gioco e prostituzione con altre famiglie che fanno capo a lui e serve un contabile che amministri al meglio il grande flusso di denaro. A Martin viene consegnato un nuovissimo ufficio dotato di telescriventi di ultima generazione che consentono puntate di scommesse su tutto il territorio nazionale ma l'amore per Ethel che lo aveva fatto decidere per quella vita, non viene corrisposto dalla donna. Lei infatti è entrata in sintonia col gran capo che se ne sta servendo per creare un mito trasformandola nella fantomatica ereditiera Loran Hansen Forbes, figlia di un magnate del petrolio, le cui feste in mezzo a fiumi di champagne sono su tutti i giornali. Lei è lo specchietto per le allodole che il furbo Castelman, anche lui un tempo partito dal nulla, è ben felice di manovrare. Arriva perfino ad usarla come esca per uno dei suoi capi che secondo lui sta tramando nell'ombra per prendere il suo posto. La donna lo circuisce abilmente con la sua avvenenza e Nick Prenta, il capo ribelle di periferia, se ne innamora confidandole segreti che Castleman vuol sapere per sbarazzarsene, nel caso trami a suo danno. La donna, chiesta in sposa da Nick, vacilla conscia della fine che sta per fare l'uomo per sua colpa ed entra in crisi di coscienza subito risvegliata bruscamente dal gran capo che, dopo averla aspettata nel suo appartamento, la picchia e regola i conti con Nick che l'aveva seguita a casa. Lei fugge e torna dai suoi vecchi genitori ma Castelman sa dove viveva e solo l'arrivo tempestivo di Martin, che non ha mai cessato di amarla, la mette in guardia circa le intenzioni del boss di eliminarla. Dal canto suo lui l'ha denunciato e adesso deve scappare con lei invitandola a prendere velocemente le sue cose. Ma il boss è alla porta e arma alla mano spara sulla donna ferendola, prima di venire a sua volta ucciso da Martin. La polizia interviene e fortunatamente Ethel è solo ferita e a detta del medico se la caverà nel finale che lascia solo intuire un futuro diverso, con ritorno alle modeste aspettative dopo la turbolenta bramosia che l'aveva accecata.
Noir anni '50 con formidabile interprete una straordinaria Joan Crawford, che qui parla con la voce della "Divina" Tina Lattanzi, con ritmi narrativi incalzanti fin da inizio film con il ritrovamento del cadavere di un ricco biscazziere. Da lì entra in scena la protagonista e i suoi ricordi a dettare i tempi di una trama avvincente fino al drammatico finale, dove il cadavere di inizio film si ricollega a completare il cerchio.
The Damned Don't Cry
Stati Uniti d'America 1950
Regia: Vincent Sherman
Musiche Daniele Amfitheatrof
con
Joan Crawford: Ethel Whitehead / Loran Hansen Forbes
David Brian: George Castleman / Joe Caveny
Steve Cochran: Nick Prenta
Kent Smith: Martin Blankford
Hugh Sanders: Grady
Selena Royle: Patricia Longworth
Jacqueline deWit: Sandra
Morris Ankrum: Jim Whitehead
Edith Evanson: signora Castleman
Richard Egan: Roy Whitehead
Tristram Coffin: George
Eddie Marr: Walter Talbot
Ric Roman: Sam Loman
Duke Watson: ferraio
Crane Whitley: Eddie Hart
Ned Glass: tassista
Dabbs Greer: reporter
Charles Jordan: editore
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