Il mio amico Benito
Peppino Di Gennaro anziano impiegato statale durante il "ventennio", sogna di diventare capo ufficio, ruolo reso di recente vacante e che secondo lui gli spetterebbe di diritto vista l'anzianità che può vantare nei confronti dei giovani colleghi che si fanno continue beffe di lui con scherzi a ripetizione, alcuni dei quali davvero pesanti. Come quando gli fanno trovare sulla scrivania la lettera dell'agognata promozione pervenuta direttamente dal Ministero. Ma la gioia è purtroppo per lui momentanea perché si vede piombare in ufficio tale Mariani che ha in mano la nomina vera a quel ruolo che il povero Peppino deve cedere sgomento. Ma solo rimandare, perché è fermamente deciso a fare un passo avanti prima della pensione, per avere un futuro più roseo dell'attuale e a tal proposito siccome vige il detto che "per far carriera ci vuole la mogliera" e visto che vive da anni con la vecchia madre, Peppino decide che è ora di prender moglie e dopo un paio di ulteriori scherzi giocati sulle sue spalle dai colleghi, finisce tra le braccia di Italia, la sorella ancora zitella del capo Mariani. Sposato avrà più possibilità di fare lo scatto tanto desiderato e tra i regali che riceve, uno gli è particolarmente gradito e fonte di stupore nel riconoscere nella foto, portatagli in dono da un commilitone bersagliere, un personaggio assolutamente impensabile e cancellato nei suoi ricordi. La foto ritrae lui, il commilitone e un loro compagno di trincea della Grande Guerra intenti a consumare il rancio e quell'uomo è LVI !!! Si è proprio il DVCE! Con grande stupore del neo cognato Mariani che per una barzelletta su di LVI ha perso il posto in un baleno e ora spera che il cognatino, forte di tale amicizia, lo faccia reintegrare nel ruolo e anzi promuovere. Spinto dai suoi, Peppino inizia a scrivere a Benito pregandolo di ricevere un suo vecchio compagno d'armi e con l'occasione, mostrandogli la foto, magari potrà ottenere quello che in molti da lui si aspettano. Ma le rigide maglie della censura bloccano decine, anzi centinaia, di lettere come quella di persone che anelano incontrare per loro scopi il Duce e vengono tutte bloccate e spesso convocati in questura i mittenti per testarne la personalità. Tocca pure a Peppino che un solerte commissario blocca in ogni occasione, compresi i tentativi di introdursi a palazzo. Allora, su suggerimento di un amico squadrista, tenta la carta delle guardie d'onore a Palazzo Venezia per avere maggiori possibilità di incontro. Ma anche stavolta l'amico Benito entra da una porta laterale, vanificando la sua presenza in garitta. Sconsolato e accortosi che la foto che ha sempre con sé ha una macchia di inchiostro che gli copre il viso, imperterrito riesce a salire le scale del palazzo e introdursi nel salone ufficio del Duce che sta arringando la folla dal bancone. E' il 1940 e la dichiarazione di guerra è stata consegnata nelle mani degli ambasciatori di Francia e Inghilterra ... e mentre sotto il popolo ulula, Peppino scorge la medesima foto che anche il Duce ha sulla scrivania e decide, come capitato alla sua, di cancellare con l'inchiostro il suo volto. Non vuole più apparire accanto all'uomo che sta portando il paese alla distruzione.
Con il solito grande Peppino e un cast di ottimi interpreti, il film riveste i tratti della commedia all'italiana seppur in un contesto la cui tragicità è appena accennata per dare spazio alla verve dei protagonisti capaci di reggere a turno il confronto col protagonista nella sua tragicomica avventura.
Il mio amico Benito
Italia 1962
Regia: Giorgio Bianchi
Musiche Armando Trovajoli
con
Peppino De Filippo: Peppino Di Gennaro
Mario Carotenuto: Mariani
Luigi Pavese: Pieroni
Luigi De Filippo: Fioretti
Franco Giacobini: Liberati
Mac Ronay: Landolfi
Emma Gramatica: madre di Peppino
Carlo Pisacane: signor Arturo
Riccardo Billi: Renzi
Giuseppe Porelli: capo divisione
Didi Perego: Italia
Andrea Checchi: commissario
Ciccio Barbi: sor Achille
Franco Franchi: terrorista
Ciccio Ingrassia: terrorista
Tiberio Murgia: poliziotto
Alberto Rabagliati: sé stesso
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